2 luglio 2014

Review: ASG – Blood Drive

2013

Gli ASG provengono dalla North Caorlina e si formano nel 2001. Il loro è un percorso di lenta maturazione: ci vogliono dieci anni perché i quattro si facciano notare su larga scala. Nel 2011, infatti, vengono accolti in casa Relapse Records, dove iniziano a registrare partorendo, due anni più tardi, il disco in questione: Blood Drive.

 
Il loro nome è un acronimo di termini non chiari e non definiti – come sostengono i musicisti stessi – e analogamente può essere considerata la loro musica: vengono definiti i punk dello psych-stoner. Che detta così mette a dura prova le abilità interpretative di chiunque.
Finché li si ascolta su disco. Questo, in particolare, riesce davvero a dare un’idea della descrizione appena fatta: 12 tracce in cui gli ASG cacciano fuori dei riff degni dei “peggio” gruppi stoner, quelli intrisi di fuzz e di scale, tinteggiandoli però di una melodicità che infila il brano in testa, spesso velocizzandolo e incattivendolo facendo tendere l’orecchio a risvolti punk. La voce sicuramente si erge a vero e proprio ago della bilancia nell’ondeggiare da un estremo all’altro: la sua versatilità è infatti notevole riuscendo a passare da uno strillato molto anni ‘90, ad uno screaming lacerante, passando per un melodico abbassamento drastico di ottava più caldo ed avvolgente.
Provare per credere: ascoltando Blues For Bama si rischiano seriamente le lacrime agli occhi per quanto si viene calati in un’aura malinconica e riflessiva – pur non rinunciando ai sentori di stoner. Tanto che se si saltasse improvvisamente a Castlestorm si potrebbe seriamente faticare a credere che questa traccia dal ritornello in screaming, la velocità punk, l’aggressività hardcore e i riff stoner, possa essere stata composta dalle stesse menti.
A riequilibrare lo shock potrebbe intervenire la titletrack, Blood Drive, assolutamente individuabile come il singolo del disco, grazie alla sua pacca seventies dal ritornello da colonna sonora di un film. Anche se probabilmente è Hawkeye il pezzo che meglio condensa la stonericità dei riff con il lampo violento del punk.
Lampo, perché la durata dei singoli brani è breve – o più canonica, dipende da che prospettiva la si guardi – mentre le tematiche affrontate tendenzialmente riflessivo-depressive: entrambi elementi che suggeriscono uno specchietto retrovisore rivolto ai già citati anni ‘90.
Gli stessi a cui parrebbe essere ispirata The Ladder, una sad ballad che sembra composta nei dintorni di Seattle. Così come Children’s Music, che in tutta la propria grassezza declama i peggiori incubi che minacciano l’infanzia.
Interessante la scelta di lasciare a Good Enough To Eat il compito di chiudere il lavoro: gli ASG si congedano con uno sguardo basso e umido, conducendo l’ascoltatore ad una discesa emotiva dopo tutta la grinta delle tracce precedenti.
Un finale triste, forse? No: solo un To Be Continued…

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