2012
La Svezia: nazione fredda, rigida, totalmente cupa o
totalmente solare. Cuore, insieme agli altri paesi scandinavi, di truce black
metal. Questa è l’idea più diffusa.
Evidentemente non è così a Korpilombolo, piccola realtà a
nord del paese non distante dai confini con la Finlandia. Qui la tradizione è
altamente legata ai rituali Voodoo che si dice siano stati portati da una
strega guaritrice, insidiatasi prima dell’avvento del cristianesimo
(ovviamente).
Proprio da qui provengono i tre membri fondatori della
band dei Goat, prima di allargare la formazione con due membri di Gothenburg.
Per le strade della piccola comunità svedese pare si
potesse ascoltare musica di vario genere, tra cui la popolare di stampo
percussivo, il progressive rock anni ’70 e quella tribale legata alla
tradizione voodoo improntata a far cadere in uno stato di trance.
Tutto questo si ritrova in World Music, disco pubblicato
nel 2012 tramite Rocket Recordings, in cui la band svedese pare attingere alle
(proprie) radici del suono: ritmiche tribali, sostenute da percussioni, fanno
da sfondo a sonorità riprese dalla tradizione del rock anni ’70. Si trova,
infatti, un basso Rickenbacker che non manca mai di essere sotto l’effetto del
fuzz, mentre le chitarre si occupano maggiormente di portare l’ascoltatore in
quello stato di trance che è pari solo a quello ottenuto durante un rituale. Il
tutto si intreccia su una trama di essenzialità armonica, dove a farla da padrona
è la ripetitività e ciclicità del brano. Summa perfetta di tutti gli elementi
citati è il secondo brano dell’album, Goatman, dove si comprende al meglio
anche lo stile prediletto per il cantato: due voci femminili, talvolta all’unisono,
talvolta in controcanto, spingono fuori dalle proprie viscere tutta l’essenza
dell’essere umano primordiale.
Un fils-rouge che attraversa tutte le tracce, interrotto
saltuariamente come al termine di Goathead dove appare una dolcissima chitarra
classica, oppure in Disco Fever dove il sentore di Africa è esaltato da un
saltellante funky.
Passando dalla rollingstoniana Let It Bleed si approda
finalmente alla conclusione del disco, dove in un brano posto tra Run To Your
Mama e la traccia di chiusura Det Som Aldrig Forandras / Diarabi, si sperimenta
l’ascesa che il rituale prometteva: di nuovo una chitarra acustica che
accompagna delle voci, qui eteree, impalpabili, celesti.
La musica del mondo, suonata dalla punta più estremamente
fredda, ma che rivolge il proprio sguardo ai territori più caldi, esibita dal
vivo con coreografie e costumi tribali, ma soprattutto con maschere sui volti
per lasciare ai suoni la visibilità totale.
Con la sua copertina palindroma, se ruotata di 180 gradi,
oppure rappresentante delle ali, se ruotata di soli 90, World Music è un
esordio discografico davvero interessante, che non ha mancato e non mancherà di
portare sulla band una notevole attenzione.
*********************************************************************************
LINKS:
Nessun commento:
Posta un commento